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Più rugby per tutti

Aggiornamento: 31 ago 2019

“Rugby, gioco da psiche cubista – deliberatamente si scelsero un pallone ovale, cioè imprevedibile”.

Alessandro Baricco, su la Repubblica, 1998



Come accade in diverse discipline sportive, anche nel rugby mentre si gioca si deve riuscire ad avere la maggior coscienza possibile di quanto sta avvenendo in campo, di cosa ha funzionato sin lì e cosa invece non ha funzionato e dovrebbe cambiare al fine di migliorare la prestazione e possibilmente renderla vincente. Il rugbista sa che dietro di lui ed al suo fianco ci sono i compagni, risorse necessarie a permettergli di tentare di arrivare alla meta. Sa che qualcuno sta calpestando la terra che ha appena calpestato lui, benché, inevitabilmente, in una già mutata situazione.

Quello che però, tra gli sportivi, caratterizza il rugbista, è il sapere di dovere interagire con chi gli sta dietro.  Sa di dover passare la palla, dalla forma ovale per un preciso motivo storico, pratico e simbolico, all’indietro; come qualcuno ha ben scritto, “in un gesto di umiltà che diventa virtù strategica e regola universale.”.

Questo bisogno/necessità di volgersi e rivolgersi a ciò che ci sta dietro, conoscere cosa è successo e cosa sta succedendo per potere andare avanti, rende il rugby la perfetta summa e metafora di ciò che credo convintamente sia modalità preziosa nella vita e disposizione necessaria ad una utile relazione terapeutica.


L'immagine del post è "Isolated Painting - Rugby Men Players 04 In Watercolor" by Pablo Romero

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